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Messaggio Da Ninone40 Mer Nov 07, 2012 7:43 am

Nella primavera del 1968 irruppe nella nostra azienda con lo stesso calore di un raggio di sole che sbuca dalle nuvole dopo una tempesta, una nuova ragazza. Biondina, carina, giovanissima, solare destando subito l’attenzione degli impiegati giovani e meno giovani, anche se, a dir il vero, in quell’epoca non è che mancassero le ragazze in ditta, anzi che n’erano diverse e tutte piuttosto carine.
Ma in lei si intravedeva qualcosa di speciale. Fu destinata alla sede staccata dell’Assicurazione, un peccato per noi rampanti e poi io alla fine dell’anno lasciai il Consorzio ammaliato da qualche lira in più che mi era stata offerta.
Fu uno sbaglio terribile perché mi trovai dopo poco tempo cose si dice da noi “in braghe di tela”. Senza un lavoro, con una moglie e una figlia. Per fortuna mi ero lasciato in buoni rapporti con la Dirigenza e fui riassunto. Erano passati neanche tre anni. Ritrovai tutti o quasi i vecchi colleghi tra cui la biondina che nel frattempo era diventata ancor più bella. Da Aurora, mia moglie, avevo saputo che erano state a scuola di apprendistato assieme.
Nadia, il nome della biondina, era ed è tutt’ora molto estroversa. Facile a farsi voler bene tanto schietta e spontanea. Diventammo buoni colleghi ma non mi sarei mai immaginato che i nostri destini si sarebbero incrociati perché ambedue saremmo stati colpiti nell’affetto più grande che un genitore possa avere: la perdita del figlio.
In un brutto giorno del 1985 venni a sapere che il suo unico figlio Fabio era stato colpito da un sarcoma osseo. Si era appena separata. Ne restai molto ma molto scosso. Da sola a lottare contro una terribile malattia che raramente lascia scampo. Padova, Parigi, Treviso le tappe del calvario. Ma lottò con forza esemplare. Per quel che valeva quando visse a Parigi con il figlio ogni tanto mi facevo vivo per avere notizie. Fui contento quando a gennaio del 1989 ritornò con Fabio a casa. Non essendo a conoscenza bene della situazione restai felicemente sorpreso. Credevo che il ragazzo ce l’avesse fatta.
Una triste mattina di Febbraio, il sette per l’esattezza, ero a Lanciano o Fiuggi per un congresso sindacale. Squillò il telefono. Credevo fosse mia moglie invece era il Mion, centralinista del Consorzio e tuttofare della squadra di calcio. Pensavo che mi parlasse di qualche partita da organizzare. Mi disse: “E’ morto il figlio della Nadia”. Restai di sasso e fui preso da un attacco di ansia. Ne soffrivo si, ma erano anni che non mi capitava più. Volevo essere a Treviso, per farle almeno una visita, un gesto di conforto. Ma il destino volle che fossi in un posto lontano Restai chiuso in camera, disteso nel letto, a pensare a quanto dovesse star male quella donna. Anni di lotta, di amore infinito verso il figlio. E poi . .
Non ricordo quando ritornò a lavorare. Però la vidi apparentemente serena. Ma parlando si capiva bene che si era fatta due facciate: la Nadia estroversa, sorridente, sicura al lavoro, la Nadia triste, sofferente, come può essere una madre colpita dalla perdita del figlio, in privato.
Donna speciale perché pur con il dolore nel cuore non ha mai fatto pesare agli altri le sue sofferenze. Anzi chi non conosceva il suo dramma neanche poteva immaginare quello che aveva internamente. Sempre bella, elegante, curata nel vestire, pronta al sorriso ed al colloquio. Aveva trovato anche la collocazione giusta: Segretaria di Direzione.
C’è sempre un cretino di turno che faceva o farà commenti sul suo modo di fare. Molti non pensano e parlano a vanvera. Quando potevo li riprendevo anche se non sapevo esattamente quale fosse il dolore per un tale perdita. Purtroppo questo tipo di angoscia, di tremenda pena, l’abbiamo conosciuta anch’io e mia moglie quando Francesco ci è stato portato via in diciotto ore da una leucemia nel marzo del 2005. Leucemia fulminante.. Solo chi prova queste terribile realtà può capire cosa sia. Gli altri possono solo immaginare. Nadia per suo figlio, tra le altre cose, ha organizzato un torneo di calcio che in tutti questi anni è diventato di importanza provinciale per giovanissimi. Aurora scrive poesie, ricama, lavora a maglia.
Quando la vedo ci basta guardarci negli occhi e ci capiamo. Un forte abbraccio suggella l’incontro di una profonda amicizia che il comune dolore ha rafforzato.
Vai avanti così Nadia con il tuo sorriso, la tua simpatia, con il tuo saper infondere fiducia agli altri che magari non sanno cosa hai dentro di te.
Alcuni giorni fa mi hai raccontato di Parigi e di quello che hai passato. Cose che non sapevo e neanche immaginavo. Sono stato percorso da forti brividi che a stento sono riuscito, forse, a controllare. Ci siamo abbracciati forte.
Poi ho preso la macchina e mi sono diretto a casa. L’emozione era ancora dentro di me. Ho pensato a Fabio e Francesco. Colpiti in diversi periodi dallo stesso terribile male. In Cielo che mi guardavano. Forse erano amici come lo sono i genitori. Forse giocavano a calcio: passione comune. Ti ho rivista in quella foto fatta in un ristorante dopo una partita di calcio del Consorzio. Erano anni in cui non si poteva neanche immaginare quello che ci sarebbe successo. Ho dato una gran botta al volante. Ho scosso la testa. Qualcuno poi mi “avviso” che Il semaforo era diventato verde e sono ripartito con un grosso magone dentro.

Ninone40

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